Parla Colin Passmore, senior partner di Simmons & Simmons. «Sappiamo che dobbiamo essere più grandi in Europa». Gli investimenti in Italia proseguiranno «coerentemente con il nostro modello di sector focused firm»
Promozioni, nuovi ingressi e investimenti. Dopo aver deciso di concentrare le proprie forze nella sede di Milano, Simmons & Simmons si appresta a rafforzare la propria presenza in Italia. Tante le novità registrate da fine 2016. Dalla nomina di Andrea Accornero a managing partner dello studio nella Penisola, alla promozione di Augusto Santoro a socio, passando per gli ingressi dei partner Paola Leocani e Nicholas Lasagna, provenienti da White & Case e del counsel Nunzio Bicchieri, ex Watson Farley & Williams che sono andati rispettivamente a rafforzare lo studio nelle aree dei financial services e dell’amministrativo.
Brexit non sembra aver frenato i progetti di crescita dello studio. Anzi, per certi versi, come racconta il senior partner Colin Passmore (nella foto) in questa intervista a MAG, ne è stato un acceleratore. Lo abbiamo incontrato in un piovosissimo pomeriggio di fine anno nei nuovi uffici milanesi dello studio a due passi dalla Galleria Vittorio Emanuele. «Sono felice di come stanno andando le cose», dice l’avvocato dopo le rituali strette di mano, «ma non così felice. Un senior partner deve sempre pensare a cosa si può fare di più e di meglio».
E in effetti Passmore è convinto che Simmons & Simmons, 300 milioni di sterline fatturate a livello globale nel 2015/16 con circa 280 soci nel mondo, possa crescere ancora in Europa, Italia compresa, per sviluppare il modello di sector focused firm.
Quali sono le conseguenze che Brexit potrà avere sul mercato? E in particolare in Europa continentale?
Penso che le conseguenze maggiori di Brexit si produrranno nel Regno Unito. C’è un enorme dibattito politico in questo momento. In ambito economico e finanziario c’è molta preoccupazione verso gli scenari di possibile hard Brexit. E non a caso c’è stato anche chi si è mosso per cercare di neutralizzare il risultato del referendum.
Qual è lo scenario che desta le maggiori preoccupazioni?
Ciò che preoccupa di più il business è la possibile perdita del diritto di passporting, fondamentale soprattutto per le banche e in generale per le attività finanziarie. Poi c’è anche il rischio di perdere l’accesso ai talenti.
Questo scenario che prospettiva pone per uno studio legale?
Per una law firm come la nostra, con un focus così specifico nei servizi finanziari e nell’asset management, la possibilità che Londra perda la sua centralità in questi settori è una prospettiva molto preoccupante. La capacità di continuare a essere il principale hub per la vendita e la distribuzione di beni e servizi finanziari, per Londra e per chi ci lavora, è cruciale.
Ci si chiede se sia possibile mantenere questo ruolo anche abbandonando l’Ue?
Il dibattito è incentrato proprio su questo. Ovviamente l’Ue non la pensa così. E in tutta onestà credo che sia così. Non è possibile chiedere accesso libero ai mercati per le attività di business e poi tirarsi indietro su questioni scomode come, per esempio, l’immigrazione.
In questo scenario ci sono altre città che potrebbero avvantaggiarsi?
Francoforte e Lussemburgo potrebbero guadagnare un ruolo più rilevante. Ma non credo che questo accadrà repentinamente anche perché ricollocare in altri Paesi queste attività avrà costi enormi.
Nel frattempo, voi cosa state facendo?
Per le ragioni che ho detto non possiamo certo smettere di investire su Londra. Ma questo scenario ci spinge anche a cogliere l’opportunità di investire in Europa. Abbiamo investito a Bruxelles, abbiamo preso due nuovi soci a Milano e qui continueremo a rafforzarci, puntiamo molto anche a diventare più grandi in Germania.
Le operazioni del 2016 quindi non resteranno isolate?
Assolutamente no. Abbiamo fatto degli investimenti importanti ma non sono ancora sufficienti. Sappiamo che dobbiamo essere più grandi in Europa. E questa crescita è un obiettivo che intendiamo perseguire. Brexit, alla fine, è un problema ma anche un’opportunità.
Brexit rappresenta essenzialmente un cambio di scenario…
Certamente. La domanda di beni e servizi è destinata a rimanere. Ciò che cambia è il modo in cui vengono prodotti e distribuiti. Noi come law firm, in questo momento, dobbiamo dimostrare ancora più attenzione all’Europa continentale.
A proposito di Europa, in Italia avete recentemente deciso di concentrare la vostra presenza a Milano chiudendo Roma. Ma avete anche ricominciato a prendere soci. Quali sono le potenzialità del nostro mercato dal vostro punto di vista?
Noi siamo una sector focused firm. E i principali settori in cui è concentrata la nostra attività sono quello dei servizi finanziari, l’asset management, life sciences e tmt. Il 60% della nostra attività è legata alle banche (sia globali sia locali) ai gestori, al private equity e altre istituzioni finanziarie. Quindi, coerentemente con quello che stiamo facendo altrove nel mondo, in Italia ci stiamo concentrando sempre più su questa base di clientela.
Quindi l’attenzione all’Italia va letta nel contesto della vostra strategia globale?
Noi dobbiamo essere presenti nei principali centri finanziari del mondo e questo è uno dei maggiori centri finanziari del mondo. Perciò qui stiamo investendo e qui cerchiamo professionisti da assumere. Paola Leocani e Nicholas Lasagna sono arrivati proprio per far crescere ulteriormente la nostra practice finanziaria. Abbiamo anche promosso un nuovo partner, Augusto Santoro.
Il coinvolgimento dei soci e delle competenze è trasversale…
Sì e arriva fino al contenzioso. La financial litigation sta diventando sempre più rilevante in tutto il network. E qui in Italia con il lavoro di Laura Orlando sul fronte contenzioso diventerà sempre più rilevante, non solo nell’Ip o nel life sciences ma anche sul piano finanziario.
Con una strategia così legata alla visione globale dello studio, c’è ancora spazio per far crescere le attività di business locali o l’unica cosa che conta è lavorare al fianco dei clienti globali?
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