L'industria musicale torna a crescere. Superato lo spaesamento e la depressione seguiti alla rivoluzione tecnologica che alla fine degli anni Novanta aveva stravolto il settore, case discografiche e musicisti sono riusciti a trovare un nuovo equilibro.
Si tratta di una storia esemplare. Una best practice di reazione industriale al cambiamento che può tornare utile apprendere anche per chi opera in altri settori. Servizi legali e servizi finanziari sono da tempo minacciati nei loro vecchi cliché da modelli di business che arrivano dall’estero e oggi anche dalla rivoluzione collegata all’utilizzo di intelligenze artificiali.
Pensare che si tratti della “fine” di queste professioni, come qualcuno fece quando le vendite di dischi crollarono per colpa del file sharing, non è realistico. Probabilmente, come spiega a MAG Enzo Mazza (nella foto), presidente della Federazione industria musicale italiana, bisogna guardare il mercato da un’altra prospettiva. «Ora siamo già alla terza rivoluzione. La prima è stata quella del download, poi è arrivata quella del video con YouTube e infine oggi viviamo quella dello streaming».
Come ha fatto l’industria musicale a girare a proprio vantaggio la rivoluzione tecnologica e di mercato che dieci anni fa sembrava destinata a spazzarla via?
Il mercato della musica, che in principio era un mercato della plastica e poi è diventato un mercato liquido, sostanzialmente ha incontrato dei partner tecnologici (primo Apple con iTunes e più di recente Spotify) con cui costruire un’offerta di facile accesso con la possibilità di condividere la musica.
Il problema era trovare il modo di continuare a essere pagati...
Sì. Tutto è partito con le condivisioni via Napster. Solo che all’epoca il consumatore condivideva la propria musica in maniera illegale. Oggi invece questo si fa ma con meccanismi che consentono di remunerare la filiera.
Lo sforzo fatto quindi è stato quello di affrontare di petto il cambiamento?
Sostanzialmente è stato un lavoro teso a identificare modelli di business compatibili con le nuove forme di consumo. Inutile dire che inizialmente questi modelli non c’erano. Anche perché tra il ’99 e il 2003 le alternative sul mercato erano il prodotto fisico o la pirateria.
Come si è mossa l’industria?
L’industria è stata molto veloce nell’adattarsi. Una spinta l’ha data il download introdotto da Apple nel 2003. Siamo tornati a un mercato che offriva i singoli. L’industria, che aveva fatto dell’album un caposaldo, ha accettato di spacchettare il prodotto.
Si è tornati agli anni ’50-'60...
È stata una cosa importante perché si è capito che l’offerta può essere anche segmentata fino al livello più piccolo. Prima si poteva comprare l’album o un paio di singoli, perché quello era ciò che veniva messo sul mercato in forma fisica. Ora l’industria ha capito che può vendere i 10 o 12 singoli che costituiscono l’album e che ogni consumatore assemblerà a proprio piacimento nelle sue playlist.
Una stagione di “liberazione musicale”...
Il settore e gli artisti hanno dato qui la loro prima importante risposta, accettando che questo mantra dell’album venisse superato dal ritorno al “45 giri” e dalla possibilità di vendere singoli brani a prezzi irrisori.
Ha citato gli artisti...
Beh, la sfida è stata importante anche per loro visto che hanno dovuto cambiare il modo di lavorare: smettendo di pensare solo all’album e cominciando a ragionare anche sulla possibilità di rilasciare più singoli fino alla pubblicazione finale di un album.
Poi cosa è accaduto?
Il mercato ha continuato a evolvere. È arrivato YouTube. E qui l’industria ha deciso che i video non dovevano essere solo un veicolo promozionale per le canzoni. Del resto, YouTube monetizza ogni trasmissione....
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