
Ecco come emerge (davvero) la categoria dall'ultimo rapporto Censis
Tanti, soli, non specializzati, poco organizzati e confinati al proprio territorio. È questa la fotografia, senza filtri, che l’ultimo rapporto Censis scatta all’avvocatura italiana per conto della Cassa Forense. L’indagine, condotta su un campione di 8.000 professionisti, fornisce numerosi dati che sembrano confermare quelle che da tempo appaiono le ragioni principali dell’impoverimento della categoria. Dato, quest’ultimo, certificato dallo stesso ente previdenziale dei legali italiani che, nella sua ultima rilevazione ha indicato in 37.505 euro annui il reddito professionale medio della categoria (si veda il numero 54 di MAG).
Ma quali sono i fattori che maggiormente penalizzano gli avvocati?
Partiamo dal contesto. «L’Italia è notoriamente cresciuta sul localismo, sulle microstrutture produttive, sul protagonismo dell’individualismo dei soggetti economici; e con essa è cresciuta e ha proliferato anche l’avvocatura italiana, improntata allo stesso modello di sviluppo», scrive il Censis, «attraverso il quale sta oggi cercando di preservare se stessa per sopravvivere alle difficoltà congiunturali e ai profondi mutamenti strutturali del mercato». Evidentemente senza grande successo. Il problema fondamentale, sembra di capire dalla analisi, è che l’avvocatura non fa nulla o fa molto poco per cambiare. «Gli ambiti di esercizio della professione aderiscono ancora molto agli aspetti più tradizionali dell’universo forense; l’avvocatura risulta essere ancora fortemente concentrata sull’attività giurisdizionale piuttosto che su quella stragiudiziale, poco propensa alla specializzazione, estremamente orientata al diritto civile, molto meno al diritto penale, al diritto amministrativo, quasi per nulla al diritto internazionale».
Insomma, la popolazione forense è numerosa (sono più di 237mila i legali italiani), sostanzialmente indistinta e priva di organizzazione: i dati d’indagine delineano il profilo di una professione organizzata fondamentalmente su base individuale e articolata largamente in microstrutture. Il 66,6% degli intervistati dichiara di essere il titolare unico dello studio. La percentuale sale al 76,4% nel Mezzogiorno, viceversa scende al 59,9% nel Nord del Paese. Sempre osservando la struttura organizzativa della categoria, solo il 13,4% degli avvocati risulta essere contitolare di uno studio associato ed un esiguo 0,7% contitolare di studio in forma societaria; mentre, altre forme di collaborazione, retribuita 14,9% e non retribuita 4,4%, rappresentano la restante parte degli avvocati. Se il modello prevalente è quello di strutture individuali, la dimensione tipo dell’organizzazione del lavoro è generalmente quella della microstruttura. Nel 38% dei casi l’avvocato è l’unica persona a lavorare nello studio e il dato sale al 47,9% nel Mezzogiorno; nel 25,5% dei casi nello studio lavorano, compreso l’avvocato, massimo tre persone, nel 27,2% dei casi nello studio lavorano, compreso l’avvocato, tra le 4 e le 9 persone; infine, solo nel 9,4% lo studio conta nel suo complesso personale pari a 10 o più persone.
PICCOLO MERCATO ANTICO
Tra i fattori che penalizzano i professionisti italiani c’è sicuramente la chiusura rispetto allo sviluppo di un’attività internazionale. Il mercato di riferimento dell’attività professionale dell’avvocatura italiana è, infatti, quasi per 3/4 un mercato locale, più raramente raggiunge il livello regionale o nazionale, ben di rado quello internazionale. Il modo in cui il fatturato degli intervistati si distribuisce tra i diversi livelli di articolazione geografica parla chiaro. Il 74,1% del campione indica il mercato locale, il 12,6% quello regionale, l’11,1% quello nazionale e, da ultimo, il 2,3% quello internazionale. «Il dato», sottolinea il Censis, «non può non far riflettere, laddove si consideri che l’Italia nell’export di prodotti e servizi ha uno dei pilastri fondamentali della propria economia. Sarà proprio da queste tipologie di incongruenze che dovrà partire una riflessione ragionata sull’approccio al mercato della avvocatura italiana, nell’ambito di una più ampia riflessione sugli itinerari di evoluzione e sviluppo della professione». Così come la percezione delle dinamiche di mercato da parte degli avvocati italiani sembra ancorata ancora a logiche ottocentesche, ovvero ai cliché di una professione che non esiste più.
Sempre il Censis, infatti, dice:...
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