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Balzani: «Noi avvocati e la politica»

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Avvocati e politica. Il risveglio della competenza. Non è il titolo di una nuova saga fantascientifica. Ma la sintesi di un fenomeno sociale che, negli ultimi anni, ha visto tanti professionisti avvicinarsi alla Cosa Pubblica. Per carità, i palazzi del potere sono sempre stati abitati da legali. Ma spesso, almeno nel recente passato, si è trattato dei cosiddetti professionisti della politica. Invece, da almeno tre anni a questa parte, l’impegno pubblico ha coinvolto, su diversi fronti, anche quelli che una professione l’hanno davvero, come la dorata minoranza degli avvocati d’affari e altri rappresentanti di quella fetta di società civile che lavora e produce, calata nella realtà di ogni giorno.

È la crisi che ha risvegliato le coscienze civiche di chi, fino a poco prima, rivendicava quasi con orgoglio la propria lontananza dai partiti e dal “teatrino” di palazzo?

MAG ne ha parlato con un avvocato che, proprio in questi giorni, è impegnato in una delle più importanti campagne elettorali in vista delle prossime amministrative: Francesca Balzani (nella foto), avvocato, assessore al bilancio e vicesindaco della giunta guidata da un altro giurista, Giuliano Pisapia, al comune di Milano e soprattutto principale avversario di Giuseppe Sala, l’eroe dell’Expo, alle primarie che il prossimo 7 febbraio decideranno chi sarà il candidato sindaco per il centrosinistra alle comunali di questa primavera. Balzani è un avvocato sui generis.

C’è chi la chiama la «donna dei numeri». Professionalmente, infatti, è cresciuta in uno dei principali studi tributari del Paese: quello di Victor Uckmar, a Genova. Quindi di numeri ne mastica eccome («ho sfatato il mito degli avvocati incapaci di leggere bilanci o di occuparsi di cifre», dice sorridendo, con una battuta) tanto che sui numeri ha fondato la sua carriera politica cominciata nel 2007, quando l’allora sindaco di Genova, Marta Vincenzi, l’ha chiamata a ricoprire l’incarico di assessore al bilancio della città della Lanterna. Nel 2009, poi, Balzani è stata eletta al Parlamento Europeo (sempre nelle fila del Pd) dove a gennaio 2011 è stata nominata relatore generale al bilancio europeo 2012. «L’impegno politico degli avvocati, in questi ultimi anni, è il punto di arrivo di un percorso di maturazione del proprio senso civico e della consapevolezza, profondamente radicata in chi con le leggi lavora ogni giorno, di quanta differenza passi tra buone norme e norme mediocri», dice Balzani a MAG. Alla guida delle istituzioni servono persone «competenti e libere», aggiunge. E sul rapporto tra cifre e politica chiarisce subito un punto: «È intorno al tema delle risorse pubbliche che si giocano le battaglie più importanti». Perché «un sindaco non risponde del suo agire a un azionista di maggioranza ma a una comunità di persone».

Niente è più politico di un bilancio: perché?
In politica si fanno spesso grandi parole e grandi promesse. La sostanza del bilancio, invece, è tanta realtà, tanta verità e tanta chiarezza. E soprattutto il bilancio è la materia prima per fare le cose. Il bilancio, dico sempre, è la politica al netto delle parole.

Come dire, c’è più politica in una singola posta di bilancio…
Beh, quando hai in mano un bilancio hai in mano tante cose concrete. Quando decidi cosa fare, su cosa investire e su cosa risparmiare stai decidendo priorità politiche. L’equilibrio non è finanziario ma di scelte. E quando dai le priorità, dai un indirizzo alle cose che si potranno fare o meno in futuro.

Un esempio?
Pensiamo al debito. Abusare del ricorso al debito significa zavorrare il futuro delle generazioni a venire. C’è un rapporto strettissimo tra il bilancio, il presente, le cose che si devono fare in un dato momento storico e il futuro. Gestire bene il bilancio significa garantirsi la possibilità di fare cose buone anche domani.

Ruoli separati, quelli del politico che coltiva una visione e del tecnico che le dà una veste contabile e normativa, possono anche coesistere?
Sganciamoci un attimo dal tema del bilancio perché vorrei fare una riflessione un po’ più generale. Un politico che non ha competenza è un politico debolissimo. Io sento spesso dire che la “macchina” o la “burocrazia” impedisce al politico di fare le cose.

E non è così?
Assolutamente no. Non credo sia così. La macchina prende il sopravvento quando la politica non è in grado di governare. E la politica non è in grado di governare quando non conosce le cose. Se c’è un assessore che non conosce la sua materia, è chiaro che le decisioni in quel settore le prenderanno i tecnici, quelli che governano la macchina, quella che viene, in maniera impropria, definita la burocrazia.

La competenza al potere…
Esatto. Se vogliamo una politica forte, ovvero in grado di governare, dobbiamo anzitutto avere una politica competente. E poi c’è un’altra questione cruciale.

Quale?
Se non conosci le cose, non fai innovazione. Innovare non è una cosa banale. E il cambio di prospettiva si è in grado di intercettarlo solo se si ha una conoscenza profonda delle cose di cui ci si occupa.

Un tempo erano i partiti la “scuola” dei politici: in questo scenario lo diventano gli studi legali, le aziende, o più in generale i luoghi dove si acquisiscono le competenze di cui dicevamo?
La vita quotidiana e il lavoro garantiscono, oltre alla competenza e alla capacità di avere uno sguardo nuovo sulle cose, anche un’altra cosa fondamentale: l’autonomia e l’indipendenza. Se hai un tuo lavoro, se hai avuto un tuo percorso di formazione, hai la tua identità personale e sei una persona libera.

Si è liberi se non si è dei politici di professione?
Chi ha vissuto sempre e solo dentro i partiti si ritrova alla mia età che non ha la possibilità di uscire dalla politica perché non ha l’indipendenza e la libertà per fare determinate scelte. E questa è una cosa molto critica perché, secondo me, spesso è ciò da cui nasce quell’arrivismo, quell’opportunismo o quel conservatorismo che impedisce il rinnovamento e l’accesso alla scena pubblica di persone, magari più capaci, con idee nuove e più fresche. Il lavoro ti rende una persona libera e io voglio che le città e il Paese siano governati da soggetti liberi.

E poi c’è il rischio dell’autoreferenzialità…

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